ANNA GILI

LA PAROLA AL DESIGNER

“Dipingere il proprio viso ogni mattina allo specchio è il primo ritratto che si fa di noi stessi. Dal teatro Kabuki alla body art, al trucco rituale delle culture tribali, la relazione tra il corpo umano e la maschera è una necessità di carattere antropologico. Dal progetto del viso umano all’abito, al progetto di un interno: il sistema di arredo è strettamente legato all’identità, al gusto e alla cultura della persona che lo ha generato. Ogni progetto è, perciò, anche un autoritratto.

Il ritratto investe problematiche ampie che hanno a che fare anche con l’aspetto sociale e psicologico di una città. Nel ritratto rinascimentale, nei volti dei personaggi dell’epoca è possibile intravvedere la città, immaginarne il tessuto sociale e persino la struttura urbana.

Nel mio lavoro il tema del ritratto ha un grande rilievo. Dopo aver terminato gli studi a Firenze, mi sono trasferita a Milano, la città del design, dove ancora oggi risiedo. Qui ho avviato la mia attività professionale. Ho applicato al progetto quella cultura visionaria che per via osmotica ho ereditato dalle mie origini umbre, molto diversa dalla cultura del design milanese, elegante e fredda, derivante dalla cultura degli stili architettonici dei primi del ‘900 e dall’imprenditoria delle nascenti industrie della Lombardia.

La performance “Persone Dipinte” presentata al museo Alchimia nel 1986 apre un nuovo capitolo del mio lavoro, che venti anni dopo applicherò allo spazio e agli interni, con il progetto  del “Wonderloft”.

Lo studio fisiognomico di un volto e dei suoi segni espressivi ci rivela anche in senso leonardesco una lettura dei misteri e delle passioni dell’animo umano. Nello studio delle espressioni che delineano la struttura di un volto cerco di mettere in relazione gli aspetti psicologici a quelli plastici. Nel progetto di un interno tendo a rilevare le strutture architettoniche originarie che, giustapposte alle nuove, valorizzo ed evidenzio allo stesso modo di un ritratto, attraverso l’uso del colore.

Un altro importante pilastro del mio lavoro è legato allo studio della zoosemiotica, ossia dei segni che originano dal mondo animale. Esso è parte del nostro immaginario: dal bestiario medievale allo zodiaco cinese, fino a Disney. La relazione tra essere umano e animale è presente fin dai primordi dell’umanità e oggetto di raffigurazioni di natura simbolica e cosmogonica. Nella mostra Noha’s Ark (1999) quadri luminosi come “Dog”, “Horse”, ”Donkey”, “Elephant”, sono ritratti antropologizzati, in cui lo studio del segno assume una valenza simbolica. Ne ho riprodotti alcuni in forma di pittura murale nella M.U.C.H. (Magic Umbria Country House).”

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[Anna Gili – Persone dipinte, 1986]