LA CITTÀ FUTURA
FISIONOMIA URBANA DELL’ABITARE.
L’espressione del volto umano si assimila da sempre all’immagine dell’architettura della città, storica e metastorica. La città che intendiamo costruire, vivere e interpretare nello scenario del nostro tempo.
È soprattutto la cultura della città ideale a prevalere, in tal senso, sulla prassi della città edificata, laddove l’utopia della ragione pura si misura con la prassi sperimentale della contingenza, dell’imperfezione e dell’eresia, che favorisce il luogo mentale e spirituale del “non finito”. I trattatisti del nostro Umanesimo e Rinascimento hanno ampiamente visitato tale apparente divaricazione di principi e di metodi, di fatto complementari, che possono indurre a separare il pensiero della spazialità e della forma astratta dall’esito dell’edificazione e del finimento che il cantiere dell’artificio si trova a sostenere nella diversificazione dei siti e delle loro specifiche conformazioni fisiche.
Se nel pensiero classico Vitruvio ha fra i primi valorizzato il tema rarefatto della casa ideale come luogo riassuntivo e rappresentativo dei quattro elementi della natura, la via empirica alla costruzione degli spazi urbani ha fornito ad un tempo, a queste stesse impostazioni preliminari, una fantasmagoria di soluzioni che proprio nella varietà dei luoghi e nell’accidentalità degli eventi poteva arricchire l’eclettica cultura architettonica dell’età romana, salvandone l’aspetto e la fisionomia.
Le nostre città hanno dunque seguito le orme canoniche della loro specifica connotazione, rendendo possibili, negli ordinamenti vitruviani, le acquisizioni dei punti d’onore dei propri spazi centrali, dei propri apparati d’ornato, delle proprie arterie e dei propri limiti, spesso murati, appartenenti ai confini dei campi trincerati e dei margini che fra urbanesimo e campagna ne delineano il prevalente aspetto paesaggistico e ambientale.
È appena il caso di ricordare come il destino delle città europee e mediterranee sia stato determinato – anche attraverso il mondo medievale, rinascimentale, barocco, neoclassico e romantico – per il tramite della cosciente trasformazione del loro disegno. I più eminenti trattatisti dell’Umanesimo, quali il Filarete, Fra’ Giocondo, Cesariano e Francesco di Giorgio Martini, associano la forma e l’estensione della città ad una figura femminile inserita nell’ampia traiettoria di una circonferenza ideale e incardinata ai vertici dell’inscritta figura pentagonale. Autonomamente, la visione utopistica degli apparati e degli spazi interni ne ha completato il volto, nel noto esempio pittorico della Città Ideale attribuito a Francesco Laurana.
Le città del XX e XXI secolo hanno prevalentemente perduto la fisionomia consolidata, spesso violando il ritratto dei loro luoghi storicamente precostituiti; le stesse rilevanti architetture contemporanee non riescono a costituire, nei propri intorni finitimi, quei tessuti di edilizia e quei legamenti privati e pubblici di verde urbano che dovrebbero efficacemente disegnare le proporzioni dei quartieri e dei toponimi all’interno delle nuove estensioni pianificate.
Si attende, ora più che mai, proprio dalla generale constatazione sfavorevole di questi esiti, la restituzione di nuovi profili e di nuove forme urbane che riscattino dalla noia e dal degrado gli spazi depressi dell’uniformità, della povertà e della miseria estetica e formale generata dalla crescita invasiva dei cosiddetti stili internazionali; si attende cioè, in ognuno dei nostri luoghi, un nuovo ritratto di città.
Riccardo Cecchini
[La Città Ideale, 1480/1490 – Galleria Nazionale delle Marche, Urbino]