Martina Franchini
Il suo ciclo pittorico è dirattamente immerso nei grandi scenari d’apparato, che assumono dignità e caratteristica di linguaggio visivo nei confronti dell’avventura evolutiva della forma urbana.
La sua attenzione specifica per i profili e per le sagome essenziali e ripetitive della città, si rivolge alle vibrazioni delle luci, alle trasparenze oggettuali, alla compenetrazione dei volumi essenziali e all’ossessiva e affascinante replica degli effetti che l’Artificio, anche nella sua complessità o casualità, offre all’occhio di un osservatore che può tradurre in tratto poetico il magma di un paesaggio meccanicamente costruito fin’anche nelle sue atmosfere, nelle sue esposizioni e nelle sue zone d’ombra, che creano geometrie disordinate e, contemporaneamente, coerenti con il gesto convulso di una tecnica che tende a sostituire l’Uomo.
In questo pianeta si muove dunque la sua ricerca, carica di incombenze formali e di valori estetizzanti, che tendono addirittura a confondersi e a frantumarsi definitivamente in un contesto astratto e non più compreso all’interno di un possibile scenario organico e coerente, deducibile dalla volontà umana.
Il nuovo informale-astratto, che si muove da un mondo formale e concreto, genera dunque un inedito quadro ed un originale programma grafico-pittorico che può condurre a risultati ed effetti di imprevedibile Bellezza, proprio a partire dall’occasionalità e dalla gratuità di un’opera indotta, tendente comunque a ricomporsi in un grande complessivo disegno, ancora una volta leggibile e decodificabile nei linguaggi globali della contemporaneità.
RC