Daniele Boi: la forma dell’assenza
L’opera scultorea come anima di vuoti interiori.
Assenza che trasmuta, restituendosi in forma scultorea. Ecco l’opera di Daniele Boi.
Quest’artista ventiquattrenne ribalta l’idea classica e fisica di scultura per giungere alla scultura in quanto modellazione dello spazio interiore, della mancanza insita in ogni essere umano. Allorché lo spettatore diviene capace di vivere l’abbandono del proprio Io, riesce a colmare i vuoti caratteristici nelle opere di Daniele.
Il lavoro di questo giovane è decisamente attuale e insolito: anziché un ripiegamento solipsistico ed auto comunicativo troviamo nelle sue creazioni la spinta alla condivisione, all’interazione.
Il vuoto si colma nelle relazioni: la relazione tra uomini così come la relazione tra l’opera –l’artista dunque- e il fruitore.
L’uomo si risolve e comprende vedendosi, trovandosi faccia a faccia con sé stesso attraverso lo specchio di coloro che lo circondano e mediante l’intimismo delle assenze materializzate in scultura.
Boi, che frequenta il II anno specialistico in Scultura Pubblica Monumentale all’Accademia Santa Giulia, anche nelle proprie aspettative future rivela il proprio animo partecipativo. Desidera, infatti, trasmettere insegnando le tecniche che lo rendono capace di esprimere il proprio talento anche in pittura; una pittura, la sua, materica e inconsueta negli strumenti come nei materiali: spesso stende il catrame con la cazzuola e gli acrilici con le mani su lastre di metallo. Dipingere, per lui, è soprattutto plasmare.
Gli inizi di Daniele si collocano nel figurativo, presto abbandonato poiché considerato fittizio: lo scultore vede la figurazione come una maschera priva di emozione.
È nelle forme organiche come la primigenia e opulenta della Madre che esprime l’emozione.
Queste creazioni sono simboli dai quali trae forme più assimilabili a sigilli anziché all’arte rappresentativa.
Sono opere complete solo nel momento dell’interazione con gli altri che ne colgono l’attimo, l’istantaneità, poiché non celebrano un qualche passato bensì celebreranno il presente, i caduti e le cadute di oggi.
Ecco quindi spiegato l’uso del marmo: classico e permanente, commemorativo e al contempo da sempre utilizzato dall’uomo per le abitazioni e per la propria difesa, o per l’aggressione brutale, la pietra scagliata è l’oblio della morte, della ferocia nell’uomo, è l’energia esplosiva della rivolta ma anche scrigno del potenziale espressivo del presente.
Per quanto l’arte contemporanea consideri il marmo quasi un tabù, l’analisi della realtà ci dice essere il materiale superiore per creare bellezza o violenza nonché intrinsecamente portatore di vita come di morte.
Il giovane artista Daniele Boi, riscoprendo la sua propria identità, ha voluto raggiungere l’assoluto mediante le forme, colmando di conseguenza i vuoti propri e delle persone attraverso le assenze scultoree da lui plasmate perché, come ha insegnato Antoine de Saint-Exupéry ne “Il Piccolo principe”, “non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Daniele ha fatto suo tale insegnamento, volendo “esprimermi attraverso un’arte che si avvicini ai segni essenziali della forma e dell’anima, priva di maschere, utili solo a nascondere un’identità apparente e fittizia, una non- vita.
Ho inseguito la visione di un altro mondo, di un’altra idea di vita, più vivente ed umanizzata, che recupera segni e forme originarie, più sane, più estreme e sicuramente più innocenti ed essenziali.
Una vita vissuta senza maschere, cercando di guardare oltre l’apparenza e dentro le cose, con più onestà e con la capacità di esprimere senza intermediari e senza alibi le emozioni, le paure, i sogni di tutta l’umanità, di ogni essere umano in qualsiasi luogo o tempo possa vivere”.